Black sun review 5

review from metal Maniacs Ecco il ritorno, più che gradito, dei Primal fear, indiscutibilmente una delle prime-mover bands per quanto riguarda il panorama offerto da Nuclear blast. Il progetto, per chi non ne fosse a conoscenza, coinvolge nomi di grandissimo rilievo come Matt Sinner (all'opera, con grandi risultati, anche sulla produzione del disco, nella quale Matt si è cimentato al fianco di Achim Köhler) e Ralf Scheepers, quest'ultimo, a mio avviso, uno dei più grandi cantanti che l'heavy metal abbia mai offerto. La band, dopo il validissimo "Nuclear fire" (difficile trovare un metallaro che non abbia sentito "Angel in black" negli ultimi mesi...), torna sulle scene seguendo la formula - vincente - che l'ha accompagnata in questi ultimissimi anni: heavy metal classico, spesso Priestiano, accompagnato da una produzione modernissima, un suono corposo ottimo nell'esaltare le linee chitarristiche di Leibing e Wolter, e soventi riferimenti alla wave power metal di fine anni novanta (quella tedesca, per intenderci). Indubbiamente, l'ombra di Tipton e Downing si presenta sempre dietro l'angolo, come è il caso di chiari spunti relativi ai Sinner del periodo più minaccioso (mentre i suoni richiamano lievemente quelli del discreto "The nature of evil"), ma è forte, in "Black sun", una certa componente derivata dal power metal: solo dalla title track, attraverso un certo uso di cori (eseguiti da Matt e Ralf), di ritmiche sempre a cavallo fra l'heavy ottantiano (soprattutto nelle fasi mid-tempos) e ripartenze prettamente novantiane, si percepisce un forte interesse, da parte dei Primal fear, per certe sonorità. La faccenda, poi, va a culminare in concomitanza con "Lightyears from home", brano totalmente dedito al power roccioso a'la Rage (periodo "Black in mind" - "End of all days", anche per i continui raffronti fra il cantato di Scheepers e quello di Wagneriano), mentre con "Revolution", grazie al drumming ed ai cori tipici dei clichès del genere, si ripiomba profondamente negli anni ottanta, grazie ad una song contenuta che, non fosse per il chitarrismo poderoso del succitato duo di asce, si affiancherebbe perfettamente al filone hard n'heavy dell'epoca. Tuttavia, il disco trova, in maniera sovente, sbocchi in up-tempos sempre controllate per quanto riguarda la sezione ritmica, in maniera da mantenere il pacchetto di songs più ancorate all'heavy metal piuttosto che far sfociare il tutto in un simil-power metal orecchiabile e diretto, ma avente un minore effetto sonico. Ottima prova, collaudata da un magnifico lavoro di mixaggio, e da pezzi come "Mind control" che, sicuramente, andranno ad influire molto su un'annata, quella del 2002, che vede l'heavy classico rinascere improvvisamente grazie ad uscite come quelle dei nuovi (capo)lavori targati Manowar e Ronnie James Dio.